giovedì 15 luglio 2010

Deriva Romana

Mi pongo in osservazione. Un'osservazione che non passa per gli occhi, una sinergia dei sensi piuttosto.
Tutto è incasellato, predisposto, diviso, spesso in numeri pari.
Finestre, colonne, mattoni, sanpietrini, un'architettura di divisioni.
Il disordine di Roma è l'accumulazione di passati e presenti, è l'abitudine dei romani di aggiustare, riadattare, deviare.
Non c'è matematica, non c'è progettazione, tutto sembrerebbe risultare dalla stratificazione, tutto sembra la casuale cristallizzazione di un momento.
Come in tutte le città e le metropoli, moltissimi flussi si sovrappongono, di differenti materie, animati o inanimati.
Come i centinaia di uccelli nomadi arrivati a creare le loro configurazioni coreografiche nei cieli, o come le città intricate di topi e insetti nel sottosuolo.
Flussi di acque da millenni scorrono sotto e dentro la città, talvolta sgorgando dalle fontane come un'esplosione di piacere, l'occhiolino edonico di una città, che come i suoi cittadini non può contenere la sua energia fluida e violenta.
Sciami di carrozzerie grigie e blu delineano percorsi caldi e orari caldi e il fortunato nomade, come me, alla deriva, scopre migliaia di possibili percorsi intorno alle arterie che conosce da anni.

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